Joyce scopre Dujardin – Dujardin scopre Dujardin – Egger, il teorico – Glossolalia – Wyzewa, il complice – Les lauriers sont coupés – Daniel Prince – Neera – Per saperne di più
❝ Il monologo interiore è, nell’ordine poetico, il discorso senza ascoltatore e non pronunciato col quale un personaggio esprime il suo pensiero più intimo, più vicino all’inconscio, anteriore ad ogni organizzazione logica, cioè allo stato nascente, attraverso frasi dirette ridotte al minimo sintattico, in modo da dare l’impressione del suo primo manifestarsi. ❞1
Joyce scopre Dujardin
Nel 1919 la pubblicazione dei primi frammenti di Ulysses nella newyorkese Little Revue – prontamente chiusa per incitazione all’immoralità – getta il mondo della letteratura nell’euforia. A fine 1921, libro in stampa, amici e colleghi si congratulano l’autore per la straordinaria innovazione introdotta nel modo di raccontare e chiedono spiegazioni. Questi fa il nome di un francese al quale sarebbe da attribuirsi la paternità della scoperta, ma il commento passa per scherzo, uno dei tanti di Joyce. A quel nome e all’ignota opera che lo accompagna, però, Joyce torna a più riprese nei colloqui che si tengono tra fine 1922 e inizio 1923, e con Valery Larbaud – che di Ulysses sarà il traduttore francese – insiste: «Read it, you shall see what it is». Alla successiva menzione nel corso di una presentazione parigina, in sala si sente mormorare: «Ma doveva proprio ripescare questo libretto?»
A Edouard Dujardin «annunciatore della parola interiore» sarà dedicata quella prima traduzione francese di Ulysses del 1929, dove Joyce si firma «il Ladrone impenitente».
Il libro di Dujardin Les lauriers sont coupés (I lauri senza fronde) era stato pubblicato in rivista nel 1887 e in volume l’anno successivo: 420 copie delle quali un numero trascurabile fu venduto, il resto regalato o distrutto dall’autore stesso. Una copia Joyce se l’era trovata tra le mani in stazione a Parigi nel 1903, quando scorgendola in un’edicola si ricordò di averne sentito parlare dall’amico George Moore, a sua volta amico e corrispondente di Dujardin fin dal 1886.
Prima del 1922 di «monologo interiore» non si era sentito parlare. È solo nel 1924 che si può leggere: «la cosa che faceva discutere Parigi in quel momento non era certo la morte, era il monologo interiore» (cito da un romanzo di Jean Giraudoux). Oggi, a cento anni dalla pubblicazione di Ulysses il nome e il romanzo di Dujardin continuano ad appartere in modo esclusivo al genere dell’aneddoto, tant'è che è possibile leggere centinaia o migliaia di pagine di critica letteraria joyciana senza imbattercisi. Questa stessa critica si è sforzata di prendere atto del debito contratto dall'autore irlandese, ma di quello francese poco si è di fatto interessata. Significativo anche il numero di edizioni: un paio quelle italiane (1975, 2009). Eppure nel 1975 Italo Calvino definiva i Lauriers «incunabolo del romanzo novecentesco».
Scriveva André Jaloux nel 1925:
❝ Non succede di frequente che un libro passato quasi inosservato al momento della pubblicazione esca dall'oblio dopo tanti anni e si trovi improvvisamente considerato fra le opere importanti. Comunque succede. Naturalmente, in questo momento abbiamo l’illusione che un simile errore non sia più possibile e tuttavia, fra cinquant’anni, è probabile che dal cumulo delle opere che appaiono ogni giorno emergeranno tre o quattro libri, che saranno probabilmente quelli ai quali è stata data meno importanza al momento della pubblicazione, mentre tutte le novità di cui noi ci infatuiamo le une dopo le altre avranno assunto a loro volta il carattere di antiche novità, cioè di vecchiume. È ciò che è appena successo per I lauri senza fronde. ❞2
Dujardin scopre Dujardin
Meno di cento pagine, questo «libretto». Per comprenderne le intenzioni – le ambizioni – la cosa migliore sarà rileggere Dujardin stesso che a distanza di oltre cinquant'anni le ripercorre, le commenta, talvolta le ricrea ex-novo; tutto ciò fa per esteso in Le monologue intérieur, saggio pubblicato nel 1831, scritto a partire dal 1927:
❝ I lauri senza fronde sono stati intrapresi con la folle ambizione di trasporre nel campo letterario i procedimenti wagneriani che io definivo così: la vita dell’anima espressa dall'incessante spinta dei motivi musicali che vengono a dire, gli uni dopo gli altri, indefinitamente e successivamente, gli “stati” del pensiero, sentimenti o sensazioni che siano; una vita che si realizza o cerca di realizzarsi nella successione indefinita di frasi corte, ognuna delle quali esprime uno stato del pensiero, senza ordine logico, come ventate che salgono dalle profondità dell'essere, dall’inconscio o dal subconscio, come si direbbe oggi... ❞3
«Procedimenti wagneriani», «motivi musicali»... Il ventiquattrenne Edouard Dujardin aveva fondato la Revue Wagnérienne nel 1885 – due anni prima dei Lauriers; vi collabovano scrittori del calibro di Villiers de l’Isle-Adam, Catullo Mendès, Elémire Bourges, Mallarmé – in seguito a una folgorazione wagneriana che effettivamente lo avrebbe portato ad avere molta parte nella promozione del compositore in Francia. Impossibile qui non ricordare gli interessi musicali del giovane Joyce, che negli anni di Trieste ancora valutava l’eventualità di intraprendere la carriera di tenore, e la cui prima raccolta poetica, messa insieme in quegli stessi anni (1907), è intitolata Chamber music. Era recandosi a Tours per il concerto di un tenore che Joyce si era imbattuto nel «libricino» di Dujardin.
❝ [...] ; il semplice dolce canto che si gonfia e il semplice ritmo; fra il fresco fogliame, fra la sordina dei rumori qualunque, gracile voce, si allarga il canto stridulo e dolce, la monotona litania, il ritmo continuato delle danze lente; e sorge l'amore... Nella purezza dei campi, piú di quanto li amo, i campi, ti amo, amica mia; ecco i bei campi pallidi e le greggi erranti disseminate; ti amo di piú; sono belle, le greggi, fra la fresca verzura, quando belano, le greggi, le care bestiole; ti amo di piú; sono cari, i miei campi sognati; ma ti amo di piú, amica mia, nei tuoi chiari occhi; le strisce di luci vanno allungandosi; i tronchi degli alberi; ti amo nelle tue canzoni; scendono fiumi con ombre, un cielo serotino, rumori lontani; e la voce lamentosa è piú lontana, la voce semplice e il ritmo si allontanano; il canto religioso svanisce; si odono canti tuttavia, ancora canti, e ti amo di piú; paesaggi freschi e notturni, alberi disposti in successione, e i passi dei passanti; [...] ❞4
Di quella spiegazione a posteriori di Dujardin – quella dei «procedimenti wagneriani»… – un'altra parola o mezza frase incuriosisce: «subconscio, come si direbbe oggi». Già, perché nel 1887, e fino al 1899, il subconscio ufficialmente non esisteva: si doveva attendere Freud, e soprattutto la sua Interpretazione dei sogni (Die Traumdeutung, 1899), che infatti informa le spiegazioni retroattive di Dujardin del 1931.
Dujardin precursore anche di Freud? No, ma da una ventina d'anni a questa parte hanno iniziato a emergere, nel ristretto numero degli specialisti di linguistica e semiotica più (o prima) che specialisti di Joyce, un altro paio di nomi che avrebbero affiancato, anzi preceduto Dujardin nella comprensione teorica dei fenomeni di cui il monologo interiore si sarebbe fatto portatore ed espressione, fenomeni dei quali Dujardin per primo avrebbe intravisto il potenziale artistico, oltre alla già riconosciuta portata scientifica e filosofica, e ai quali – si, ancora lui per primo – avrebbe dato veste letteraria nel 1887.
❝ Perbacco, saprò ricordarmi di quello che devo dire a Léa, me lo ricorderò; niente di piú facile, di piú naturale; capirà bene perché rinuncio ai miei diritti su di lei, e quanto l'amo, e perché non la possederò... Posso restare qui stanotte... amica mia, vi lascio... Capirà; niente di piú naturale e di piú facile... Mi ricorderò... Voi non credete che vi ami... Follemente vi desideravo... All right... Vi rendo il vostro corpo... ❞5
Egger, il teorico
Nel 1931 Dujardin può dare il titolo di Le monologue intérieur al suo saggio e, addentratosi nelle riflessioni e nei ricordi, en passant – per supposizione, per quanto lui ne sa – può ricondurre la paternità di quell'espressione, «monologo interiore», a Valery Larbaud, il quale a sua volta gli ha riferito di doverla al romanzo di Paul Bourget, Cosmopolis (1893).
Nel 1999, nel 2005 e infine nel 2009 Laura Santone fa il nome del filosofo e psicologo francese Victor Egger, ricostruendo progressivamente il ruolo rivestito da un’opera di Egger del 1881 ampiamente e a lungo dimenticata: La parole intérieure. Essai de psychologie descriptive.
L’arco di vita di Egger (1848-1909) abbraccia un’epoca di massimo interesse scientifico per i fenomeni del linguaggio, interesse alimentato dalle innovazioni della tecnologia: l’invenzione del telegrafo elettrico nel 1852; l’adozione universale dell’alfabeto Morse nello stesso anno; intorno al 1865 la comparsa del termine “phonétique” per indicare la scienza della sostanza sonora del linguaggio, gettando così le basi di una disciplina autonoma che all’egemonia della lettera oppone il primato del suono; poi gli studi di Fourier sulla scomposizione del suono in frequenze costitutive (“armoniche”); nel 1877 il brevetto del fonografo di Edison, che entro fine secolo, insieme al grammofono, fa ormai parte della strumentazione di tutti gli istituti dedicati allo studio e all’insegnamento delle lingue. A Parigi tra 1885 e 1887 Ferdinand de Saussure tiene i suoi primi corsi di linguistica generale.
Voce e anche orecchio. L’interesse della ricerca si va spostando sulla dimensione acustica del messaggio, sul sonoro “udibile” in opposizione a quello “visibile”, sui principi della fonazione. Nel 1888 è messa a punto una scrittura fonetica internazionale fruibile in tutte le lingue.
È in questo contesto che compare La parole intérieure di Egger, ed è qui che troviamo, insieme a numerosi contributi fondamentali per la comprensione dei processi psichici e dei loro effetti sul discorso, la prima attestazione a noi nota dell’espressione «monologue intérieur», impiegata una sola volta in oltre trecento pagine, nel tentativo di condensare il risultato di molte osservazioni:
❝ L'homme passionné ou préoccupé passe facilement du monologue intérieur au monologue audible. ❞6
[L’uomo appassionato o preoccupato passa facilmente dal monologo interiore al monologo udibile.]
Per comprendere l’esatto significato di questo «monologo interiore» di cui parla Egger sarà necessario ripercorre brevemente alcuni punti chiave della ricerca scientifica coeva, e poi il lavoro di Egger stesso.
❝ — Se il signore...
Il cameriere. La tavola. Il cappello all’attaccapanni. Togliamoci i guanti; bisogna gettarli con negligenza sulla tavola, accanto al piatto; meglio nella tasca del soprabito; no, sul tavolo; queste piccole cose dànno il tono. Il soprabito all’attaccapanni; mi siedo; uff, ero stanco. Metterò i guanti nella tasca del soprabito. Illuminato, dorato, rosso, con specchi, che scintillio; che cosa? il caffè, il caffè dove mi trovo. Ah, ero stanco. Il cameriere:
— Zuppa di pesce, minestra, passato di piselli, brodo... ❞7
Glossolalia
All’ombra della fonetica ufficiale cresce l’interesse per le forme patologiche del linguaggio. Le ricerche pubblicate tra 1880-1900 affrontano l’afasia, i comportamenti verbali nelle forme dell’alienazione mentale e nei fenomeni medianici, i neologismi nelle fasi del delirio, i malati isterici; Mesmer teorizza il magnetismo animale. Egger e altri come lui iniziano a prestare orecchio a un ascolto “secondo”, intessuto di neologismi, onomatopee, frammenti: un «parlare in lingue» (con evidente riferimento alla prima lettera di Paolo ai Corinzi) che del linguaggio rivela la natura liquida e incarna il potere “arcaico”. In questa fin de siècle si esaurisce il legame tra significante e significato, tra il linguaggio e il suo potere di rappresentazione, e si delinea una cesura tra le parole e le cose.
❝ Nel momento stesso in cui rappresenta un ritorno alle forme essenziali della poesia, il monologo interiore è un ritorno, evidentemente modernizzato, alle forme primitive del linguaggio; e illustra proprio la dottrina dell'origine musicale della parola. ❞8
Nell’anno 1900, Des Indes à la planète Mars di Théodore Flournoy, professore di psicologia all’Università di Ginevra, offre una prima sistematizzazione teorica dello stato delle conoscenze sulla glossolia. Associabile al «parlare in lingue» della lettera paolina, essa è espressione di un soggetto parlante che rigetta l'uso normativo del linguaggio per formulare un discorso che non dice nulla, o che dice null'altro che il desiderio e il piacere primo del dire medesimo. In relazione alla glossolalia, nel 1840 un certo Martini aveva parlato di «chants sans mot»; nel 1980 Michel de Certeau parlerà di «utopies vocales». La lingua del glossolalo è una poesia sonora, una lingua pre-verbale articolata sulle «basi pulsionali della fonazione» (Ivan Fónagy 1983). Il soggetto-enunciatore si fa soggetto- annunciatore.
Le trascrizioni danno conto di una lingua “della bocca”, sede staccata dal controllo della ragione e in cui convergono vocalizzazioni che sfuggono alla comprensione, emissioni che testimoniano unicamente ebbrezza estatica, il giubilo delle «lingue di fuoco» della Pentecoste e degli scritti patristici.
L’analisi linguistica delle glossolalie rivela tratti caratteristici dell’oralità infantile: il triangolo /a/, /i/, /u/; la predominanza delle labiali con netta prevalenza delle liquide /l/, /m/; la forte reiterazione quasi ipnotica dei suoni, a ricreare il ritmo cardiaco del corpo materno; la segmentazione di sillabe distribuite secondo movimenti dettati dall’intonazione che si muovono in cerchio, quel cerchio che secondo i mistici studiati da Roman Jakobson è un «supremo battesimo, perché lo Spirito Santo discende su coloro che così fanno». Anziché una sintassi, si assiste a “effetti” di distribuzione sintattica governati per omofonia: allitterazioni, assonanze, onomatopee.
Questo il «monologo udibile» di cui parla Egger, da lui messo in relazione a un «monologo interiore», da intendersi come manifestazione viscerale precedente o parallela alle sua salita in superficie per scandire il battito di una musica arcaica.
Al pari della lingua del glossolo che si osserva in relazione con stati-limite allorché si registra «la dissolution absolue du langage et de la pensée», la parola interiore è «fait psychique», voce che irrompe e interrompe, canto dello spirito e del corpo; è «parole souffée», parola d’un “fiato” che si sottrae al controllo della coscienza; la parola interiore è vibrazione dell’intima risonanza anima-corpo.
❝ — Amica mia, a cosa state pensando?
Verso di me volta lo sguardo, incolore, come senza pensiero; tace; sul lastricato rotola duramente la carrozza; Léa guarda di nuovo dinanzi a sé, muta; non pensa, non sogna; a che cosa pensate? a nulla; che cosa sognate? non so; ma cosa? non posso; cosa, cosa sognate? niente, non posso, non so, non sogno e non penso; ahimè, ahimè, io non ti darò il sogno, ed eternamente resterai così, immobile, senza amore; vagamente guarda dinanzi a sé; il cielo chiaro, già meno chiaro, brilla ancora; fra le masse degli alberi naviga la carrozza; e la grigia sagoma del vecchio cocchiere dalla schiena curva si erge alta; ed ecco la voce di Léa:
— Purché Marie non abbia dimenticato il fuoco! ❞9
Wyzewa, il complice
Egger teorico del «monologo interiore», dunque, per quanto quello sin qui percorso non sia che un breve segmento del tracciato costituito dalla sua opera, le cui ripercussioni sulla lettura moderna e in particolare su Joyce attraverso Dujardin non possono essere sottostimate.
In relazione all’aspetto “genetico” del monologo interiore rimane da stabilire se Dujardin sia entrato effettivamente in contatto con le teorie di Egger e come. Ci viene in soccorso Téodor de Wyzewa, quasi coetaneo di Dujardin e suo collaboratore nell’avventura pubblicistica della Revue Wagnérienne inaugurata nel 1885. Chi lo conosceva personalmente lo indicava come colui che aveva visto tutti i quadri, letto tutti i libri, compreso ogni estetica.
I contributi mensili di Wyzewa denotano la conoscenza diretta dell’opera di Egger, con citazioni non testuali ma sufficientemente puntuali da non lasciar margine al dubbio. Come accennato, Dujardin non fece mai menzione di influenze altre rispetto a Wagner – Wagner e Racine, per la precisione, con quella dedica a «Racine, romancier d'âmes» in Lauriers che non mancò di sollevare lo sdegno dei contemporanei, i quali non sapevano scorgere – e non intendevano scorgere – alcun possibile legame tra il drammaturgo classico e lo sgrammaticante simbolista. Ebbene, anche su questo punto Wyzewa è in grado di fare luce con un suo articolo e condurci, di nuovo, a Egger, che nel trattato aveva portato i personaggi di Racine a esempio dell’«uomo appassionato» il cui monologo trasborda direttamente dall’interno all’esterno di sé:
❝ Tutt’altro è l’atteggiamento dell’uomo appassionato[:] egli non immagina un interlocutore; esprime il suo pensiero ad alta voce semplicemente perché non riesce a trattenerlo dentro di sé nonostante egli avverta la presenza di uditori inutili o sospetti. ❞10
Les lauriers sont coupés
❝ Dalle sei a mezzanotte e mezza del 12 aprile 1886; temperatura: tiepida; termometro: da 15 a 18 gradi centigradi, barometro: altezza 625 (bello — secco); luna: se condo giorno del 1° quarto. ❞11
Si è sin qui accennato ad alcune circostanze esterne che hanno determinato la nascita e le forme proprie di Les lauriers sont coupés, e alla recezione dell’opera, della quale quello riportato sopra è lo schema preparatorio di stampo naturalista, che produrrà un romanzo simbolista.
❝ Una sera, al tramonto, aeree lontananze, cieli profondi; e folle confuse; rumori, ombre, moltitudini; spazi aperti all'infinito; vaga sera... ❞12
È l'inizio del romanzo. Nel 1931 Dujardin descrive l'opera del 1887 come maturo punto d'arrivo del simbolismo, il movimento e la generazione che egli sentiva di rappresentare e per i quali, in quel 1931, egli ancora poteva vedere un lungo futuro, un futuro nel quale Joyce sarebbe forse giunto a incarnare il movimento nella sua essenza.
❝ La verità è che il monologo interiore doveva essere, ed è stato essenzialmente, la manifestazione di ciò che vi fu di più profondo nel grande movimento che trovò le sue prime espressioni nelle poesie di Mallarmé e di Rimbaud, che esplose verso il 1885 con l’entrata nella vita letteraria della generazione simbolista e che, in realtà, rinnovò da cima a fondo la letteratura francese.
Come concepirono la poesia i giovani del 1885? [...] Essi intesero la poesia come l'espressione della vita interiore. La reazione contro il romanticismo e il parnaso fu completa; per i giovani del 1885 il mondo esteriore esiste solo in quanto concepito dallo spirito. Si tratta solamente dell’anima nella letteratura di quell’epoca; il mondo esterno è solo uno scenario che si monta e si smonta secondo la volontà del poeta. Ma quella realtà essenziale, quella vita interiore che i classici avevano cercato nella direzione di ciò che essi chiamavano la ragione, noi la cercammo nella direzione, fino a quel momento disprezzata (oggi si potrebbe dire rimossa), dell'inconscio. [...] Infine, la generazione simbolista riuscì a introdurre la poesia in tutti i campi della letteratura. Fino a quel momento c’erano stati i versi e la prosa; ormai c’erano la poesia e la non-poesia. ❞13
Al romanzo non mancavano nemmeno quelli che Dujardin avrebbe poi menzionato tra gli eccessi del simbolismo («la caratteristica dei grandi movimenti letterari è proprio di suscitare un ribollimento in cui il peggio si mescola al meglio»); in particolare alcune violenze fatte alla grammatica e all’ortografia che a suo avviso furono tra i motivi del rigetto dell’opera, e che nelle edizioni successive alla prima egli andrà correggendo.
❝ Una nuova formula trae la sua origine dalle necessità proprie dell’epoca in cui nasce e non da quelle di cui non ci si preoccupa più, né da quelle di un’epoca futura: è questa una legge dell’evoluzione letteraria che ci si stupisce di vedere ignorata. ❞14
Mallarmé dei Lauriers fu entusiasta sin dall’inizio e a Dujardin parlò dell’opera come di «istante preso alla gola...». Anche Huysmans sembrò averne avuta l’intuizione…
❝ «È curioso, è curioso...», ripeteva, senza precisare nulla. ❞15
Nel 1887, mentre il romanzo veniva pubblicato in rivista, George Moore – quel George Moore – scriveva all’autore:
❝ la piccola vita dell’anima svelata per la prima volta. Una sorprendente musica di punti e virgole; temo solo la monotonia. Staremo a vedere; in tutti i casi, è nuovo. ❞16
Poco si è voluto dire dell’opera in sé per lasciare spazio alla scoperta personale di un romanzo che la brevità rende di agile lettura; alla quale poesia e musicalità conferiscono immediatezza; i cui estesi paralleli formali e di impianto generale, e gli occasionali rimandi puntuali di contenuto attribuiscono estremo interesse sia per chi già conosce Ulysses sia per chi intenda affrontarlo.
Oltre alle tecniche del discorso elaborate per la prima volta da Dujardin, ritroveremo infatti in Joyce l’impianto generale di un romanzo che segue ininterrottamente – senza rimozione di episodi, senza salti temporali – gli itinerari urbani del protagonista attraverso la giornata e la sera, dentro e fuori casa, negli incontri, nei pasti, accompagnato da suoni e musica che non è possibile definire né come esteriori né come interiori rispetto al soggetto: manca un vero e proprio referente dei significanti che sia autonomo rispetto al soggetto enunciatore; tutto è rappresentato attraverso la voce monologante ed esiste in essa. Nelle parole di Dujardin:
❝ Il personaggio dei Lauri senza fronde espone non ciò che succede intorno a lui, ma ciò che egli vede succedere; non i gesti che compie, ma quelli che ha coscienza di compiere; non le parole che gli vengono dette, ma quelle che sente; tutto quanto proprio come lui lo incorpora nella propria, e unica, realtà. Tutto, insomma, come scrive Edmond Jaloux, esiste allo stato di coscienza. ❞17
Così Edmond Jaloux aveva peraltro riassunto la vicenda:
❝ Nei Lauri senza fronde non succede quasi niente: un giovane è innamorato di una bella ragazza, le dà un po' di soldi, passeggia con lei, ma non riceve niente in cambio. Se ne va dicendosi che non la rivedrà mai più, ma non è sicuro di mantenere la parola. ❞
Gli eventi perdono di importanza: come in Ulysses, seguiamo un personaggio privo di particolare interesse in un momento non particolarmente distintivo o drammatico della sua esistenza. La quotidianità facilita la divagazione e l'emersione delle sfumature dell'animo.
❝ Mezzo secolo fa Zola e gli scrittori naturalisti credevano di essere più realisti dei classici perché davano la parola a dei teppisti. I nostri contemporanei cadono in un’illusione simile quando insinuano che c’è più profondità nel descrivere gli stati d’animo di un degenerato che di un uomo che sta bene – come se bastasse mettere in scena un paralitico per schiacciare Racine o Molière! ❞18
Daniel Prince
❝ Stabiliremo che le grandi caratteristiche del movimento del 1885 – ossia la vita del pensiero data come oggetto alla poesia, la concezione musicale, cioè disintellettualizzata, della poesia medesima, infine l’entrata folgorante della poesia così concepita nella prosa e particolarmente nel romanzo – sono proprio i principi profondi del monologo interiore. ❞19
Il passo di Les lauriers sont coupés sul quale si sono in genere soffermati i rari sguardi della critica è quello del progressivo appisolarsi e dell’improvviso risveglio del protagonista Daniel Prince, pagina a ragione apprezzata per la densità delle risorse stilistiche dispiegate e delle suggestioni evocate, ma comunque rappresentativa della conduzione della narrazione in genere e nel complesso del romanzo. Il monologo in questione.
❝ Eccola lì immobile, così fine e graziosa, così giovanilmente civettuola; oh! che triste esistenza è la sua; colui che l'ama, che amore deve avere per addolcirle le amarezze; poverina, a vent'anni, esposta alle avversità... insieme, invece, dormire così, nell’oblio... tutt'e due, insieme; lei nella sicurezza della mia fedeltà, io nel suo incanto; e fra le cose che sono, normalmente, tutt’e due, gioiosamente... andremo questa sera, così, fuori, sotto delle ombre, mentre musiche lontane... «tu m’ami»... «e tu mi ami»... sì, non diciamo piú «ti amo», ma «mi ami» e «mi ami», e abbracciamoci... dorme; sento che mi addormento; socchiudo gli occhi... ecco il suo corpo; il suo seno che sale e scende; e il dolcissimo profumo mescolato... la bella notte di aprile... fra poco passeggeremo... l’aria fresca... adesso usciremo... fra poco... le due candele... là... lungo i boulevards... «ti amo piú dei miei montoni»... ti amo di piú... quella ragazza, dagli occhi sfrontati, esile, dalle labbra rosse... la camera, l'alto camino... la sala... mio padre... tutti e tre seduti, mio padre, mia madre... io... perché mia madre è pallida?... mi guarda... stiamo per pranzare, sì, sotto gli alberi... la domestica... portate la tavola... Léa... prepara la tavola... mio padre... il portinaio... una lettera... una lettera di lei?... grazie... un ondeggiamento, un rumore, un levarsi di cieli... e voi, per sempre l’unica, la prima amata, Antonia... tutto scintilla... ridete?... i lampioni a gas si allineano senza fine... oh!... la notte... fredda e gelata, la notte... Ah!!! mille terrori!!! che?... mi spingono, mi tirano, mi uccidono... Nulla... un nonnulla... la camera... Léa... Perbacco... mi ero addormentato? ❞20
Neera
La scrittrice milanese nota – per quanto sia possibile parlare di notorietà nel suo caso – con lo pseudonimo di Neera (1846-1918) è autrice di oltre venti romanzi, una decina di raccolte di racconti, alcuni memoir e raccolte di poesie, una commedia e diversi saggi definiti “morali” per i temi affrontati (la condizione della donna, l’educazione del bambino, l’educazione della persona in generale). Godette della rara stima, oltre che di Luigi Capuana, di Benedetto Croce, ed è anzi ritenuta l’unico autore di cui Croce avrebbe mai parlato positivamente. Il discreto successo in vita – parla il numero di opere pubblicate, quasi una ogni anno, ciò che le consentì di vivere di scrittura e da scrittrice – non trovò seguito dopo la morte: in pochissimi casi alla prima edizione ne è seguita una seconda. È in corso la rivalutazione e pubblicazione dell’imponente carteggio con alcuni tra i maggiori scrittori e critici del tempo.
Perché parlare di Neera in questa sede? Si interessò di monologo interiore? No, non se ne interessò, ma il suo durevole interesse per la variazione nei temi che prediligeva e dei generi che impiegava, unito a un interesse di lunga data per la narrativa francese (pubblicò una raccolta di saggi dedicata alle scrittrici francesi tra Sei e Ottocento), le suggerirono in una occasione sola e unica, sinora non rilevata dalla critica, il ricorso al monologo interiore con tratti stilistici e grafici paragonabili alla pagina di Dujardin appena riportata. Anche in Neera il personaggio si sta appisolando; compaiono i puntini di sospensione reiterati, il discorso si ferramenta, la lingua si scioglie, si confonde, si fa liquida.
La precisa data di pubblicazione dell’opera – parliamo del romanzo Lydia – nelle fonti è alternativamente indicata come 1887 o 1888. Il frontespizio dell’edizione milanese stampata da Giuseppe Galli riportata il 1888, ma alcuni inventari propendono per il 1887. Senza voler dimostrare la precedenza di Neera su Dujardin – anche perché la prima, nella sua intera opera, non fece alcun uso del monologo interiore all’infuori del singolo paragrafo in questione – potrebbe costituire un esempio di prontissima, di immediata recezione, fuori dalla Francia, di ciò che Dujardin andava sperimentando. Un caso quasi unico e privo di seguito nei trentacinque anni a venire. Ma come forse avremmo occasione di vedere in futuro, qualche altra rarissima eccezione – precedente Joyce – non manca. Ecco Neera:
❝ Non pensava, pensare è una fatica. Assisteva semplicemente come spettatrice allo sfilare caleidoscopico delle impressioni. «Bella quella siepe! Ne cherche pas quels doigts ont effeuillé l’érable. Che cos’è érable? Pioppo. Non mi pare. Ni quels pieds ont laissé leurs traces sur le sable. Sable, érable, forse érable è biancospino; no, biancospino è aubépine. Indovinala grillo! Ogni albero ha un nome come i personaggi dei romanzi, che poi si confondono... Oddo, Max, Ralph... Mi piace Ralph; dovrebbe essere biondo nei baffi, coi capelli bruni e gli occhi azzurri nordico. Un viaggio sul Reno, quale prospettiva! Che pace, che frescura, che biondezza! Mangiano il filetto di bue coi lamponi, però. Lamponi o fragole? L’acqua di fragole, per la pelle, ottima, lo dice Mantegazza. Le fragole, della terra promessa... ah! no, era l'uva. L'uva, Mosè, il popolo ebreo... Le ebree non portavano busto; forse mi confondo, sono le messicane che non lo portano; ma fa lo stesso, vorrei vederle a quarant'anni... Ne cherche pas quels doigts... Caprifoglio? Acacia?» ❞21
Per saperne di più
NERI 1975 e RISSET 1991 contengono i due testi fondamentali di Eduard Dujardin, il romanzo del 1887 e il saggio del 1931 (entrambi sotto le cento pagine), corredati di un utile apparato critico. RISSET 1991, per quanto breve, è uno studio di impianto accademico che combina discipline diverse – linguistica, semiotica, critica letteraria, psicologia, etc. – e vocabolari tecnici in un tutto che risulta carico di strana e marcata poesia. La maggior parte delle opere di Neera è disponibile nel pubblico dominio; l'unica ri-edizione di “Lydia” che ho potuto consultare è quella di CROCE 1943, che ha il pregio di fornire importante materiale critico non reperibile altrove.
— CROCE 1943: Neera / a cura di Benedetto Croce; 1943.
— EGGER 1881: La parole intérieure : Essai de psychologie descriptive / par Victor Egger ; 1881.
— NERI 1975: I lauri senza fronde / Edouard Dujardin ; a cura di Nicoletta Neri ; 1975.
— RISSET 1991: Il monologo interiore / Edouard Dujardin ; a cura di Jacqueline Risset ; 1991.
— SANTONE 2009: Egger, Dujardin, Joyce : Microscopia della voce nel monologo interiore / Laura Santone ; 2009.
E. Dujardin: Il monologo interiore.
Nella rivista Nouvelles Littéraires, numero del 17 gennaio.
Il monologo interiore.
E. Dujardin: I lauri senza fronde.
I lauri senza fronde.
V. Egger: La parole intérieure.
I lauri senza fronde.
Il monologo interiore.
I lauri senza fronde.
La parole intérieure.
RISSET 1991.
I lauri senza fronde.
Il monologo interiore.
Il monologo interiore.
Il monologo interiore.
Il monologo interiore.
Il monologo interiore.
Il monologo interiore.
Il monologo interiore.
I lauri senza fronde.
Neera: Lydia.